domenica 16 novembre 2014

Distillazione degli idrocarburi

OIL, PETROL AND OCTANE NUMBER

Oil, or petroleum, is a complex mixture of solid, liquid, and gaseous hydrocarons, it also contains traces of organic components, oxygen, sulphur, and nitrogen. At room temperature oil is a thick, flamable oily, yellow to black substance.

Composition
Naturally occurring oil generally contains three hydrocarbons: alkanes, cycloalkanes and arenes. Other thypes of hydrocarbons like alkenes, alkynes and polyenes are more rare and only present in small quantities.
Oil also contains a wide variety of sulphurous compounds that have  a negative effect on the quality of the oil, since they cause unpleasant odours, corrosion, and pollution.  Nitrogen compounds, on the other hand, usually make up no more than 0.5 % of oil; oxygen compounds (mainly organic acids) do not usually exceed the 0.8 %.

Formation
Oil forms through long processes involving the decomposition of biological materials that settled to lake, sea, and ocean bottoms.
The factors involved in the formation of oil are: an anaerobic environment ( either in the sea or in a salty lake) where anaerobic bacteria  can degrade the materials; enzymes that can start the deamination (the removal of the amine group) of  peptides, and the decarboxylation ( removal of the carboxyl group) of fatty acids.
Mineral catalysts formed at elevated pressures also contribute to the process, and through slow reactions, after long periods of time (between 1 million and 600 milion years), at high pressures (up to 900 atm) and tempertures (on the order of 150 °C), oil is formed. 


Oil forms in droplets in sedimentary rock, it would be impossible to extract it from that type of rock, but oil then migrates into reservoirs that are like geological traps: a alyer of porous rocks situated between two layers of impermeable rocks .Gaseous  hydrocarbonsare trapped  there, toghether with oil, and water. the sediment is layered from top to bottom depending on density.

Oil refining
Once crude oil has been extracted, it is refined, i.e. fractioned into components with different density levels. The process is divided into 4 main phases:
- Fractional distillation is carried out in columns that have a  number of trays at different levels. The  components condense at different levels depending on their boiling temperature. After a first topping ( atmospheric distillation)  witw teperatures reaching 350 °C, there is a second, vacuum distillation with temperatures up to 400 °C. The components are gasses with a low molecular weight (methane, kerosene, diesel, heavy residue).
The heavy residue undergoes a second vacuum distillation process, resulting in kerosene, diesel, lubricant oil and a residual (bitumen or asphalt).

- Cracking process aimsat increasing the percentage of petrols, usually no more than 25% of the distillation products, by turning diesel and kerosene, that have 10 to 16  atoms of carbon, into lighter elements. At 450 °C and tranks to certain catalysts, catalytic cracking  produces short-chained or branched molecules (ethene and propene for production of plastic, LPG as a household heating fuell).

- Catalytic reforming process has been used sinse 1949, and it has improved petrol quality, as it increases their antiknock properties.

- Hydrodesulphurisation process allow to recover sulphur in oil ( due to the formation of H2S and H2SO4 ), and it also improves petrol quality, since it prevents the formation of polluting compounds during combustion. 

Da Chimica e Vita  - Bargellini, Crippa, Nepgen, Mantelli

lunedì 26 maggio 2014

LA DINAMICA DELLA LITOSFERA

La parte superficiale della Terra è costituita da un involucro rigido definito litosfera, esso è suddiviso in un certo numero di frammenti o placche che sono in continuo movimento l'uno rispetto all'altro. La manifestazione più vistosa della mobilità delle placche è la presenza di fasce attive della crosta, interessate da fenomeni sismici o magmatici.
La prima teoria riguardante lo spostamento dei continenti fu proposta e presentata nel 1912 da Alfred Wegener. Secondo questo scienziato circa 200 milioni di anni fa le masse continentali erano unite in un unico supercontinente chiamato pangea e circondato da un oceano chiamato panthalassa. A ridosso dell'equatore vi era un braccio di mare poco profondo chiamato tetide che separava parzialmente la pangea.



L'idea di Wegener nacque da alcune osservazioni, ricavate dallo studio della geomorfologia, della paleontologia e della paleoclimatologia.
Dall'esame di un planisfero notò che le piattaforme continentali dell'Africa e del Sudamerica  "si potevano incastrare" come i pezzi di un puzzle. Notò inoltre dall'analisi delle rocce presenti sulle sponde dell'Atlantico che le caratteristiche erano molto simili. Inoltre in alcune serie sedimentarie scoprì l'esistenza di fossili guida identici ritrovati anche in una parte dell'Australia. I reperti più significativi erano il mesosaurus, un rettile caratteristico di acque dolci e la glossopteris, una felce arborea. I resti fossili hanno permesso a Wegener di ricostruire la paleogeografia in quanto erano indicatori climatici assieme a resti di antiche glaciazioni  presenti in zone equatoriali. 
Per quanto riguarda le "prove scientifiche" pensò che il responsabile della deriva dei continenti fosse la forza centrifuga originata dalla rotazione terrestre.
La teoria di Wegener rimasse argomento di controversie per una decina di anni e poi definitivamente abbandonata.

Teoria dell'espansione dei fondali oceanici 

Negli anni '50 le ricerche geologiche ebbero un nuovo impulso, in particolare l'oceanografia e furono intraprese numerose esplorazioni degli  oceani, che consentirono di cartografarne con estrema precisione i fondali.
Attraverso lo studio dei fondali oceanici si è scoperto infatti la presenza di un sistema di dorsali sommerse, lungo circa 70000 Km. Esse corrispondono ad una fascia di crosta oceanica inarcata verso l'alto tanto che la sommità è di 2- 3000 m più alta dei circostanti fondali oceanici. Si tratta di una gigantesca "cicatrice" in rilievo che non occupa posizioni equidistanti dai margini continentali e, in certe zone come il Golfo di Aden o la California penetrano nei continenti.
La cresta delle dorsali è quasi sempre caratterizzata da un solco longitudinale  largo qualche decina di Km e profondo dai 1500 ai 3000 metri, chiamato rift valley, per la sua grande somiglianza con il sistema di fosse dell'Africa Orientale; in qualche punto emerge come nelle Azzorre o in Islanda.
L'asse della dorsale è attraversata da un sistema di faglie trasversali chiamate faglie trasformi lungo le quali si verifica uno scorrimento reciproco di blocchi di litosfera oceanica .
Lungo le faglie che delimitano la rift valley risale continuamente dal mantello del magma basaltico che fuoriesce da innumerevoli punti sul fondale oceanico solidificando sotto forma di pillow - lavas. Inoltre sul fondo delle rift valley sono state scoperte sorgenti ifrotermali: Lì l 'acqua marina penetra nelle fratture delle dorsali, scende per parecchi Km e si riscala al contatto con il magma basaltico. Divenuta meno densa, essa risale fino a sgorgare con violenza dal fondale oceanico con getti caldissimi intorno ai 380° ricchi di minerali e gas portati via in soluzione dai basalti.
L'insieme delle caratteristiche osservate lungo le dorsali,  indica che sotto alla crosta oceanica, deve esistere un flusso ascendente di materiale molto  caldo, non completamente fuso, o forse solo in minima parte.
Dallo studio dei fondali oceanici, sono emerse altre strutture caratteristiche dal punto di vista geomorfologico, tra queste le più comui sono le piane abissali e le fosse oceaniche.
Ai lati della dorsale, il fondale si estende fino alle pianure abissali, zone pianeggianti molto estese e con profondità fino ai 5000 metri circa. Esse sono ricoperte da un sottile strato di sedimenti caratterizzati da argilliti e radiolariti. Se il fondale è meno profondo possiamo trovare anche sedimenti carbonatici come ad esempio i "calcari a calpionelle". Sulle piane abissali possono essere presenti rilievi isolati generalmente di origine vulcanica come ad esempio i guyot che presentano una superficie tronca.
Altro elemento caratteristico del fondale oceanico sono le fosse, depressioni molto profonde e relativamente strette, molte delle quali scendono a più di 10 000 m di profondità.  Un tipico allineamento di tali strutture è presente lungo il bordo occidentale del Pacifico, dove le fosse si susseguono dallo Stretto di Bering fino alla nuova Zelanda, al largo di Giava e Sumatra e lungo le coste del Sudamerica. La fossa può essere definita come un incisione del fondale oceanico che si immerge o sotto crosta oceanica o sotto crosta continentale. Il piano di scivolamento viene chiamato Benioff e scende in profondità con un angolo di circa 45°. Lungo il piano di Benioff sono localizzati ipocentri sismici da superficiali a profondi, il flusso termico è molto ridotto rispetto alle dorsali e in queste zone la litosfera oceanica subduce immergendosi nell'astenosfera.
A una certa distanza dalla fossa si osserva sempre un'intensa attività vulcanica caratterizzata da archi insulari (isole vulcaniche ) o archi di cordigliera (vere e proprie catene montuose sui continenti).




LA TETTONICA DELLE PLACCHE

 La crosta terrestre è il prodotto di una lunga evoluzione attraverso continue trasformazioni che coinvolgono enormi volumi di rocce che si susseguono nel tempo geologico; inoltre la distribuzione dei vulcani e degli ipocentri sismici non è casuale ma caratterizzata da settori ben definiti delimitati da aree più tranquille.  Essa è stata formulata nel corso degli anni 70 e prende in esame il comportamento della litosfera nei confronti dell'astenosfera, meno rigida, sulla quale la litosfera può muoversi.


Secondo la teoria della tettonica a placche la litosfera è suddivisa in una ventina di zolle o placche di dimensioni molto vaire, caratterizzate da margini di diverso tipo. Le placche si muovono lentamente sull' astenosfera, trascinate passivamente dai moti convettivi presenti nell'astenosfera. Le placche possono essere costituite da sola litosfera oceanica ( come la placca pacifica), da sola litosfera continentale ( come la placca euroasiatica) o mista ( come la placca africana). Le placche litosferiche si muovono molto lentamente, sull'ordine di alcuni cm l'anno. 
I limiti delle placche, chiamati margini  vengono distinti in tre tipi: 
  •  margini divergenti o costruttivi, lungo i qualli si crea nuova crosta oceanica. Coincidono con le dorsali oceaniche, ma vengono inclusi in questa categoria anche i rift continentali come quello africano. Le due zolle ai lati della dorsale si accrescono e la crosta oceanica viene spinta lateralmente rispetto alla dorsale. Questi marigni sono caratterizzati da attività sismica  superficicale e attvità vulcanica.
  • margini convergenti o distruttivi, lungo i quali le zolle contigue sono spinte l'una contro l'altra. Coincidono con le zone di subduzione sia oceaniche che sotto ai continenti. Altri megini convergenti sono quelli continentali dove si formano le grandi catene montuose.  I margini distruttivi sono caratterizzati da intensa attività sismica e magmatica.
  • margini conservativi, lungo i quali le zolle scivolano l'una rispetto all'atra lungo le faglie trasformi (cioè a scorrimento orizzontale). Sono caratterizzati da intensa attività sismica ma privi di attività magmatica.





MARGINI DIVERGENTI

Come già detto, i margini divergenti coincidono con le dorsali oceaniche, in corrispondenza di queste strutture la crosta oceanica si inarca, si assotiglia e si frattura; il materiale plastico che risale dall'astenosfera fonde, generando un magma femico che in parte solidifica in profondità generando gabbri, in parte risale originando la dorsale dalla quale fuoriescono lave basaltiche. Il materiale fuso sottostante è costretto a dividersi in due rami che scorrono in direzioni opposte ed esercitano una trazione sui due blocchi della lotosfera a lato della frattura. La frattura viene quindi riaperta e richiusa dal magma che risale e si raffredda; la trazione, origina faglie parallele all'asse della dorsale: i blocchi scivolano verso il basso e si origina una struttura a gradini tipica di una dorsale oceanica. Inoltre ogni risalita di magma "spinge" le colate precedenti ai lati della dorsale facendo così espandere il fondale oceanico.
La velocità di espansione degli oceani non è costante: nell'Atlantico arriva a 3 - 5 cm l'anno, nella dorsale pacifica invece si raggiungono i 15 cm l'anno circa.
L'espansione dei fondali richiede centinaia di milioni di anni, attualmente possiamo osservare nella regione del Mar Rosso la formazione di un nuovo oceano che da 20 milioni di anni fa, avviò la sepoarazione della placca araba da quella africana.
Un oceano in fasi iniziali è rappresentato dal rift africano dove la crosta continentale si sta fratturando, originando profonde fosse.

MARGINI CONVERGENTI

 I margini convergenti sono quelli in cui le zolle entrano in collisione tra loro. A seconda della natura delle zolle ai lati del margine, possiamo distinguere diverse situazioni:
  • collisione tralitosfera oceanica e litosfera continentale: quando la litosfera oceanica entra in collisione con quella continentale, quella oceanica più densa, si immerge sotto il margine continentale originando una zona di subduzione; in questa situazione si viene a formare una fossa oceanica , si hanno ipocentri sismici da superficiali a profondi  ed infine la formazione di un arco vulcanico sul continente. La fossa segna il limite delle due zolle e, quella oceanica incurvandosi verso il basso trascina con se i sedimenti che di solito sono di origine silicea. Quando il materiale arriva ad una profondità di circa 150 Km lungo il Benioff, la crosta oceanica ed i sedimenti fondono parzialmente originando grani quantità di magma. Parte di esso raggiunge la superficie alimentando vulcani che costituiscono un arco vulcanico anche detto arco di cordigliera. Si assiste quindi ad un ispessimento della crosta continentale e la formazione di una catena montuosa. L'esempio più tipico è rappresentato dai vulcani della "Cordigliera delle Ande", originata dalla collisione tra la placca di Nazca e quella sudamericana. In queste zone oltre a fenomeni sismici molto intensi si assiste ad eruzione violente caratterizzate da lave andesitiche.
  •  collisione tra due zolle oceaniche: in questo caso, si verifica la subduzione  della crosta più rigida e fredda originando una fossa in pieno oceano, lontano dai margini continentali. I magmi prodoti dall'anatessi risalgono attraverso la litosfera originando vulcanismo sottomarino che emergeranno poi, formando un "arco insulare". Accanto all'intensa attività vulcanica, queste zone saranno caratterizzate da intensa sismicità. Un classico esempio è dato dal Giappone  e dalle Filippine. Tra le isole vulcaniche e il margine continentale resta un braccio di mare deto bacino di retroarco.
MARGINI CONSERVATIVI
I  margini lungo i quali le placche scivolano parallelamente l'una rispetto all'atra seza formazione o distruzione di porzioni litosferiche, sono dette margini conservativi. In questo caso, non si ha nè subduzione o formazione di catene montuose, ma si originano faglie molto estese caratterizzate da scorrimento sul piano orizzontale, dette faglie trasformi, lungo le quali i margini scorrono in senso opposto e a velocità diverse. A causa dell'attrito tra le placche, si verificano terremoti abbastanza violenti, mentre l'attività vulcanica è assente. Un margine conservativo è la faglia di San Andreas in California, dove la zolla pacifica scivola lungo quella americana ad una velocità di circa 5 cm l'anno. Si tratta di una faglia lunga centinaia di Km e sembra essere la prosecuzione di un compleso sistema di faglie che  interessa il settore pacifico di fronte alla California e collega due tratti di dorsale oceanica. Altre faglie trasformi tagliano trasversalmente l'asse delle dorsali e ne interrompono la continuità e sono sede di ipocentri sismici superficiali.

IL MOTORE DELLA TETTONICA A ZOLLE 

La teoria della tettonica a placche spiega la dinamica globale del nostro pianeta; l'unica questione ancora oggetto di dibattito dalla comunità scientifica riguarda le cause del movimento delle zolle.
Per poter spiegare il meccanismo che aziona le zolle e la velocità di spostamento sono state formulate diverse ipotesi, nessuna delle quali ha ancora trovato una risposta definitiva.
Un'ipotesi prevede che le zolle siano spinte da forze che agiscono in corrispondenza delle dorsali, dovute alla pressione del nuovo magma che viene eruttato, e  verrrebbero trascinate dalla forza di gravità come pesanti blocchi freddi in discesa nelle zone di subduzione. In realtà sembra che tali pressioni siano insufficienti a muovere le zolle.
Si ritiene che la causa del movimento delle zolle siano i movimenti convettivi del mantello, e a questo proposito sono stati messi a punto diversi modelli di movimenti convettivi, che differiscono per la forma e le dimensioni delle celle convettive. Secondo alcuni scienziati le celle convettive coinvolgono solamente l'astenosfera, per altri coinvolgono l'intero mantello, e per altri ancora vi sono due serie sovrapposte di celle convettive.
Questi modelli hanno in comune il fatto che i rami ascendenti delle correnti convettive sono sotto le dorsali oceaniche e i rami discendenti  in corrispondenza delle zone di subduzione.  In tutti i modelli comunque, i rami paraleli alla litosfera oceanica funzionano come un nastro trasportatore, allontanandole o avvicinandole.
Alcuni hanno proposto in alternativa ai moti convettivi un modello a pennacchi, secondo il quale del materiale caldo proveniente dal mantello inferiore potrebbe contribuire al movimento delle placche. E' possibile che colonne di materiale caldo risalgano dalle zone profonde, trasferendo il calore alla litosfera; il materiale fuso risalirebbe in punti isolati e provocherebbe il movimento delle placche. Questo modello sarebbe in grado di spiegare la struttura non continua delle dorsali, la presenza delle faglie trasformi, ma al momento non esistono prove che confermino i diversi modelli proposti. 
In alcune placche litosferiche è stata inoltre scoperta l'esistenza di hot spot o punti caldi, questo termine indica fenomeni vulcanici isolati, che non sono originati dai margini delle zolle.  Qui si registra un flusso termico molto elevato, e si verifica emissione di lava esclusivamente basaltica proveniente da zone profonde del mantello. I punti cladi si trovano i diverse zone della superficie terrestre ma, quelli più studiati sono quelli della Hawaii, dell'Islanda e di Yellowstone.
Si pensa che questi vulcani siano generti da enormi "pennacchi" di materiale caldo che risalgono formando apparati vulcanici.. La posizione dei punti caldi non cambia con il tempo, infatti mentre le zolle si muovono, restano apparati vulcanici ormai spenti e sopra l'hot spot se ne formano di nuovi. Un esempio sono i vulcani di tipo hawaiano;  un altro esempio è l'Islanda che oltre ad essere attraversata dalla dorsale atlantica pare abbia un punto caldo localizzato vicino alla dorsale che intensifica l'eruzione di lava associata alla dorsale.

TETTONICA A ZOLLE E ATTIVITA' ENDOGENA

La teoria della Tettonica a zolle è in grado di spiegare tutti i fenomeni che si verificano sulla superficie terrestre che vanno dall'attività sismica a quella vulcanica.
Infatti in corrispondenza dei margini divergenti e conservativi sono presenti fenomeni sismici con ipocentro superficiale; l'attività sismica profonda è presente nelle zone di subduzione, infatti è facile che durante la trazione questi materiali accumulino energia elastica, si fratturino e provochino terremoti sempre più profondi, man mano che ci si allontana dalla fossa. Gli ipocentri dei terremoti in queste zone sono localizzati lungo il Benioff che ha un'inclinazione variabile a seconda della velocità di subduzione  e della rigidità delle zolle. I terremoti che interessano queste zone sono i più disastrosi e possono raggiungere magnitudo fino a 9. Se in una zona di fossa oceanica, l'ipocentro è superficiale e la magnitudo è magiore o uguale a 7.5 vi è una la possibilità che si origini un'onda da maremoto.
Per quanto riguarda invece l'attività vulcanica, questa è localizzata lungo i margini divergenti, attraverso eruzioni lineari tranquille, oppure nelle zone di subduzione dove si originano magmi a composizione prevalentemente andesitica che alimentano un'attività vulcanica esplosiva. Qui si originano archi vulcanici insulari sul bordo del continente o in pieno oceano come ad esempio i vulcani della cintura di fuoco circumpacifica o dell'Indonesia. Altri fenomeni vulcanici sono presenti nei punti caldi e sono caratterizzati dall'emissione "tranquilla" di lave basaltiche.

domenica 4 maggio 2014

IL CAMPO MAGNETICO TERRESTRE

Fin dal XVII secolo è noto che la Terraa possiede un campo magnetico la cui origine è ancora incerta. Per tentare di spiegarlo sono state formulate ipotesi diverse; la prima interpretazioneè che al centro della Terra , il nucleo ferroso si comporti come un dipolo permanente. Questa ipotesi è caduta quando è stato dimostrato che la magnetizzazione di qualsiasi sostanza scompare al di sopra di una determinaa temperatura detta "punto di Curie". Questa temperatura è diversa a seconda del materiale ma sempre più bassa di quella del nucleo terrestre. Quindi l'idea che al centro della Terra esista qualcosa di permanentemente magnetizzato come una barra magnetica è insostenibile. La teoria oggi più accreditata è quella della dinamo ad autoeccitazione; la fisica insegna che un campo magnetico può essere generato da cariche elettriche in movimento e che un campo magnetico a sua volta può generare un campo elettrico. Secondo questa teoria le condizioni per fornire un flusso elettrico sufficiente a creare il campo geomagnetico si realizzano all'interno del nucleo; esso infatti è costituito da metalli ed è un buon conduttore di corrente elettrica, inoltre può funzionare come un generatore di corrente perchè il materiale del nucleo è allo stato fuso. Si ipotizza che nelle prime fasi della vita della Terra si sia formato un piccolo campo magnetico generato dalla rotazione terrestre oppure da moti convettivi del nucleo stesso. Questo campo magnetico avrebbe prodotto nel nucleo correnti elettriche che a loro volta avrebero generato un campo magnetico che facilitando il mantenimento delle correnti elettriche avrebbe stabilizzato il campo geomagnetico.


Il campo magnetico terrestre si estende anche al di sopra della superficie terrestre con un'intensità che diminuisce con la distanza dal pianeta. Studiando i valori della direzione e dell'intensità del campo geomagnetico, si è scoperto che esistono variazioni delle stesse sul lungo periodo, tra queste le più importanti sono le inversioni di polarità scoperte studiando il magnetismo fossile delle rocce: con periodicità irregolare il campo geomagnetico inverte le polarità, cioè polo nord e polo sud si scambiano la posizione.

Paleomagnetismo

Da tempo si è constatato che alcune rocce possiedono una magnetizzazione propria; esse contengono minerali ferromagnetici cioè minerali con una magnetizzazione stabile indipendente dal campo magnetico esterno. Questa magnetizzazione viene acquisita dal minerale nel momento in cui si forma la roccia: quando questa solidificandosi raggiunge una temperatura inferiore al "punto di Curie" ( per l'ematite 580°C) mantiene il campo magnetico esistente al momento della sua formazione e si conserva in permanenza anche se il campo magnetico esterno muta. Questo magnetismo fossile viene definito "paleomagnetismo", e il suo studio si è rivelato uno strumento utilissimo per indagare sulla storia magnetica e geologica del nostro pianeta. 
In particolare il paleomagnetismo rappresenta la prova indipendente per la teoria della tettonica a placche. 
Le anomalie magnetiche registrate nei basalti poste simmetricamente alle dorsali oceaniche possono essere causate non solo dalle inversioni di polarità del campo magnetico terrestre, ma anche dai movimenti della litosfera che modificano l'orientamento di grandi masse rocciose dotate di magnetizzazione permanente.
Negli anni '60, analizzando il paleomagnetismo, si scoprirono dei fenomeni molto significativi per la comprensione  della dinamica della litosfera: la migrazione apparente dei poli e le anomalie magnetiche dei fondali oceanici. Il primo fenomeno indicava una differente posizione del polo nord magnetico come se nello stesso momento fossero stati presenti sulla Terra diversi assi magnetici. La spiegazione più ovvia della migrazione dei poli è che in realtà si siano spostati i continenti e che ilpèercorso apparente dei poli testimoni la reale migrazione di ciascun continente. Questo fenomeno non fu considerato subito una prova definitiva del movimento delle placche ma è stato confermato in seguito quando sono state registrate anomalie magnetiche positive e negative nei basalti dei fondali oceanici che quindi non si sono formati tutti nello stesso periodo. Il fondale oceanico diventa quindi un nastro registratore del campo geomagneticoe quindi un archivio della storia della Terra.

La coda magnetica

Nelle vicinanze della superficie terrestre, il campo magnetico ha una configurazione sostanzialmente simmetrica rispetto all'asse del dipolo: le linee di forza del campo magnetico sono disposte perpendicolarmente alla superficie terrestre in prossimità dei poli, mentre corrono quasi parallele al suolo in prossimità dell'equatore. Questa configurazione è però fortemente distorta a grande distanza dalla Terra, cioè si deformano: sono schiacciate l'una contro l'altra dalla parte del Sole, mentre si diradano dalla parte opposta. Il risultato è, che su grande scala, il campo magnetico ha una configurazione simile a quella di una cometa, con la coda dalla parte non esposta al Sole. Questo campo di forze si chiama magnetosfera e, dalla parte opposta al Sole si estende per centinaia di migliaia di Km.

La forma della magnetosfera è determinata dal vento solare, un flusso di particelle subatomiche, elettricamente cariche, che comprime la magnetosfera sul lato vicino al Sole; l'entità dela compressione dipende dall'intensità dell'attività solare.
La magnetosfera, impedisce comunque che il vento solare raggiunga direttamente la superficie terrestre, il che avrebbe coseguenze nocive sugli organismi. Solo in prossimità dei poli, dove le linee di forza del campo magnetico sono orientate verso la Terra, le particelle riescono a penetrare nell'atmosfera,producendo fenomeni di luminescenza noti come aurore polari.
L'interazione tra campo magnetico e vento solare, pèroduce inoltre sistemi di corrent elettriche che fluiscono nella magnetosfera producendo perturbazioni del campo magnetico alla superficie terrestre. Le particelle provenienti dal Sole, possono rimanere intrappolate in prossimità della Terra: possono cioè entrare in orbita e, se possiedono una particolare energia, percorrono traiettorie a spirale da un polo all'altro. Queste particelle, costituisocno le fasce di "Van Allen", una interna a circa 3000 Km dalla superficie  ed una esterna tra i 15 - 20000 Km dalla superficie. Le fasce di Van Allen contribuiscono al fenomeno delle aurore polari.



 

domenica 13 aprile 2014

I FENOMENI SISMICI

I terremoti sono manifestazioni superficiali dell'azione delle forze tettoniche che si sviluppano all'interno della litosfera; assieme ai fenomeni vulcanici sono la prova più evidente della dinamicità della Terra.
Essi si manifestano in aree sismicamente attive che coincidono generalmente con i margini delle catene montuose, delle dorsali oceaniche e delle zone di subduzione.
Un terrremoto è una vibrazione più o meno intensa della superficie terrestre causato dalla repentina liberazione di energia meccanica; il punto in cui l'energia viene liberata sotto forma di onde elastiche viene definito ipocentro del terremoto, da esso l'energia si propaga in tutte le direzioni. L'epicentro è il punto sulla superficie terrestre, situato sulla verticale dell'ipocentro in cui giungono per prime le onde sismiche  che sono avvertite con maggiore intensità.

Il meccanismo che genera i terrremoti è stato spiegato per la prima volta nel 1911 dal sismologo americano H. F. Reid che studiò dettagliatamente le deformazioni del suolo in prossimità della faglia di San Andreas  (una profonda lacerazione della crosta terrestre che attraversa la California per quasi 1000 Km), dopo il terremoto che colpì San Francisco nel 1906. Durante questo terrremoto si individuarono spostamenti macroscopici del terreno, dell'ordine di qualche metro lungo la faglia. Reid giunse alla conclusione che le rocce, se sottoposte a sforzi, si comportano in modo elastico e si deformano progressivamente fino a che non viene raggiunto il limite di rottura. A questo punto l'energia elastica accumulata durante la deformazione si libera, in parte soto forma di calore per l'attrito lungo la superficie della faglia, in parte sotto forma di violente vibrazioni che si propagano dall'ipocentro . Questa teoria, definita come "Teoria del rimbalzo elastico" spiega anche come i terremoti siano dei fenomeni che si ripetono periodicamente in una certa zona.
Nella Terra, le rocce sono sottoposte a sforzi da movimenti in atto nella litosfera; nei volumi di rocce interessati si accumula energia come deformazione elastica, finchè superata la loro resistenza, l'energia si libera improvvisamente generando nuove faglie o rimuovendone antiche e provocando il teremoto. Il fenomeno può esaurirsi in qualche secondo, ma può prolungarsi fino a 4 - 5 minuti e produrre terremoti violenti.
In base alla teoria del rimbalzo elastico una zona in cui si è manifestato un terremoto dovrebbe avere raggiunto un nuovo equilibrio che garantirebbe un periodo di tranquilità sismica. Se le forze tettoniche in grado di deformare la litosfera, continuano, si accumulerò nuova energia, fino a un successivo punto di rottura e ad un altro terremoto. Questo processo viene anche detto "ciclo sismico"; in esso si possono distinguere tre stadi: il primo è precedente alla formazione della faglia, la deformazione elastica provoca variazioni nelle caratteristiche delle rocce; il secondo è l'evento sismico mentre il terzo è quello post-sismico . L'area colpita cerca un nuovo equilibrio attraverso scosse successive o repliche.

Le onde sismiche

Una parte dell'energia che si libera dall'ipocentro si propaga sotto forma di onde sismiche le quali attraversando diversi tipi di rocce posssono dare origine a fenomeni di riflessione e rifrazione. Queste onde provocano una deformazione dinamica dei materiali che attraversano e, dopo il loro passaggio ogni singolo volume di roccia riacquista la conformazione originaria.
I diversi tipi di onde sismiche sono: P, S e L.


 

Onde P: queste onde vengono definite onde prime o onde longitudinali e sono le prime ad essere registrate dai sismografi. Al loro passaggio le particelle di roccia oscillano nella stessa direzione di propagazione dell'onda sismica: la roccia subisce rapide variazioni di volume, comprimendosi e dilatandosi alternativamente. Sono le più veloci e si propagano ad una velocità che va dai 7 ai 14 Km/s. Si propagano in ogni mezzo: nelle rocce compatte, nei fluidi e nei gas, infatti il tipico boato che accompagna l'inizio del terremoto è dovuto alle onde P che provocano spostamenti d'aria, con frequenze che rientrano in quelle percepibili dall'orecchio umano.
Onde S: sono anche dette onde trasversali o di taglio; al loro passaggio le particelle di roccia compiono delle oscillazioni perpendicolari alla direzione di propagazione dell'onda sismica; la roccia  subisce una variazione di forma ma non di volume. La loro velocità va dai 3,5 ai 7 Km/s. Essse sono in grado di propagarsi sono nei corpi solidi, quando incontrano un magma fuso si smorzano rapidamente.
Onde superficiali: quando le onde P ed S giungono in superficie, si trasformano in onde superficiali che si propagano dall'epicentro  lungo la superficie terrestre dove provocano oscillazioni di diverse forme. Le principali onde superficiali sono le onde di Rayleigh e quelle di Love. Al passsaggio delle onde R, le particelle compiono orbite ellittiche in un piano verticale  lungo la direzione di propagazione, come avviene per le onde in acqua. Al passaggio delle onde L le particelle oscillano trasversalmente alla direzione di propagazione ma solo sul piano orizzontale. Queste onde hanno una velocità di circa 3,5 Km/s, possono percorrere lunghe distanze (fino a compiere più volte il giro della Terra). Esse sono le onde che provocano i danni maggiori anche a notevoli distanze e al loro passaggio si possono verificare frane, fenomeni di liquefazione nelle argille e crolli.

Come si registrano le onde sismiche

La registrazione delle onde viene effettuata attraverso l'uso di sismografi che sono strumenti in grado di trasformare i complessi movimenti del suolo durante un sisma in una registrazione permanentte.


Il sismografo si basa sull'inerzia di una massa sospesa, che tende a rimanere immobile anche quando il supporto inizia a muoversi assieme al suolo; un pennino scrivente, lascia una traccia su una striscia di carta che ruota su di un rullo solidale con il terreno. Si registrano così le vibrazioni del suolo rispsetto alla massa. Per analizzare in modo corretto i movimenti del suolo se ne registrano le componenti in un sistema di tre assi perpendicolari, in ogni stazione sismica quindi, sono in funzione contemporaneamente tre sismografi: uno in grado di registrare i movimenti verticali, e due liberi di muoversi sul piano orizzontale, lungo due direzioni (Nord - Sud o Est - Ovest).
La registrazione del movimento sismico attraverso l'uso di sismografi è detto sismogramma:




I diversi tipi di onde sismiche, si propagano con velocità diversa e seguendo percorsi di varia lunghezza (più siamo distanti dall'ipocentro, tanto è maggiore l'intervallo di tempo che passa tra l'arrivo delle diverse onde sismiche). A una certa distanza dall'epicentro, invece, le diverse onde sismiche si separano e si riconoscono prima le onde P, nella parte centrale notiamo la sovrapposizione delle onde S e nella parte terminale del sismogramma compaiono prevalentemente le one superficiali, più lente, ma più ampie.
Dalla lettura di un sismogramma possiamo ricavare molte informazioni come l'energia liberata dal terremoto, la sua durata, la posizione dell'epicentro e la profondità dell'ipocentro.
Per determinare la profondià dell'ipocentro, sono necessarie le registrazioni di almeno 10 stazioni, per poter elaborare i dati in modo statistico.
Sono stati distinti quindi: terremoti superficiali, con profondità tra 0 e 70 Km; intermedi con profondità tra 70 e 300 Km e profondi con ipocentro a profondità maggiori a 300 Km. 

Intensità e magnitudo a confronto

La forza di un terremoto può essere rilevata attraverso due metodi, che consentono di costruire dele scale sismiche: la scala delle intensità e la scala della magnitudo.
La scala delle intensità adottata è la scala MCS (Mercalli, Cancani, Sieberg), che utilizza un metodo messo apunto da Mercalli agli inizi del '900 e successivamente modificato, senza apportare cambiamenti sostanziali.
Questa scala assegna ad ogni terremoto un valore numerico, detto grado di intensità determinato in base agli effetti delle scosse sismiche sul territorio e al grado di distruzione dei manufatti. Si riportano su una carta geografica i valori dele intensità  e si congiungono tutti i punti aventi uguale intensità, ottenendo  delle linee dette chiuse dette isosisme  che separano la zona più interna che comprende l'epicentro,  da zone in cui l'intensità decresce rapidamente.
La scala MCS presenta molti limiti dal punto di vista scientifico, in quanto l'intensità non è una misura dell'energia dissipata da un sisma, ma semplicemente la descrizione dei danni da esso provocati. Inoltre  la gravità dei danni dipende anche dalla conformazione geologica del territorio e soprattutto della presenza di centri abitati più o meno grandi, questi fattori rendono una difficile valutazione della forza del terremoto, quindi per misurare in modo rigoroso la forza di un teremoto, viene utilizzata la scala delle magnitudo che si basa sul seguente principio: tanto maggiore è l'energia liberata dal terremoto, tanto più ampie sono le oscillazioni registrate dal sismografo. Per costruire una scala di valore scientifico, occorre disporre di un'unità di misura, che in questo caso è il sismogramma di riferimento, inoltre si deve tenere conto della distanza dall'ipocentro e il conseguente indebolimento dele onde. La scala delle magnitudo è stata introdotta da Richter nel 1935. Secondo Richter, la magnitudo di un terremoto si ottiene confrontando l'ampiezza massima delle oscillazioni registrate da una stazione di rilevamento, con quella delle oscillazioni di un sismogramma di riferimento.
La scala delle magnitudo proposta da Richter, è una scala logaritmica, dove la Magnitudo è data dalla seguente relazione:




M = log10 A / A0 + Q

dove A è l'ampiezza massima delle oscillazioni del terrremoto studiato; A zero è l'ampiezza massima delle oscillazioni causate da un terremoto di riferimento ; Q è il fattore di correzione che tiene conto della distanza dall'epicentro della stazione di riferimento.
Di solito il terremoto di riferimento viene scelto in modo che provochi un'oscillazione  massima di 0,001 mm, su un sismografo posto alla distanza di 100 Km dall'epicentro. Tuttavia, le stazioni di rilevamento si trovano sempre a distanze diverse, quindi si usa il fattore Q, che tiene conto della distanza reale dall'epicentro.
La scala Richter è una scala logaritmica, quindi aumentando di un'unità la magnitudo, si ha un'ampiezza delle onde sismiche 10 volte maggiore; essa non ha un valore massimo predefinito, ma il massimo valore di magnitudo registrato è 9. Inoltre la magnitudo dipende dall'energia liberata dall'ipocentro, sotto forma di onde sismiche, questa non è misurabile attraverso formule, ma in linea di massima possiamo affermare che all'aumento di 1 unità di magnitudo corrisponde un aumento dell'energia dissipata di circa 33 volte.
I terremoti vengono distinti in microsismi (quando la magnitudo è inferiore a 5) e macrosismi quando la magnitudo super il valore di 6.

Il rischio sismico in Italia e la distribuzione geografica dei terremoti



L'Italia è situata in un'area geologicamente attiva e relativamente recente, tale zona è particolarmente instabile, come è testimoniato dall'attività vulcanica e sismica che la interessano periodicamente.
In Italia la causa della sismicità è legata a numerose faglie, le principali sono la faglia periadriatica a Nord che delimita la catena alpina e termina a Nord - Ovest in Val di Susa. Numerose faglie sono presenti in Toscana e in Emilia al limite della pianura padana e sono la causa di terremoti di debole intensità. Nella zona centrale della nosra penisola è presente la Ancona - Anzio la quale causa la sismicità nella zona umbra. più a Sud vi è la Comiso - Sant'Eufemia - Messina responsabile di sismicità abbastanza intensa. In epoca storica più di 160 terrremoti hanno provocato effetti disastrosi  e causato un numero di vittime vicino al mezzo milione di persone.  Un caso a parte è la Liguria, interessata dalla Sestri -Voltaggio, una faglia che separa geologicamente la catena alpina da quella appenninica; questa faglia però, è bloccata a Nord da un "cuscinetto sedimentario " detto Bacino Terziario Piemontese e, verso Sud da faglie presenti sulla scarpata continentale perpendicolari alla linea di costa, rendendo stabile la nostra regione.

La distribuzione dei terremoti sulla superficie terrestre non è casuale, infatti vi è una stretta relazione tra attività sismica e attività vulcanica nelle zone più recenti e attive.


Osservando la carta, è possibile constatare che i terremoti tendono a distribuirsi lungo le dorsali oceaniche dove oltre alla Rift Valley sono presenti numerose faglie trasformi. In queste zone gli ipocentri sono di solito superficiali.
Una maggior incidenza di terremoti è presente lungo la cintura di fuoco circumpacifica e lungo i margini del continente sudamericano: in queste fasce i terremoti hanno ipocentri da superficiali a profondi e sono legati alle zone di subduzione e ad intensa attività magmatica.
Anche nelle catene montuose recenti come quella alpina ed imalahiana, si registra attività sismica con ipocentri superficiali.

I maremoti


Il maremoto viene spesso chiamato con il termine giapponese tsunami, il cui significao è onda di porto.
Le cause di uno tsunami sono diverse, essi infatti possono essere generati da frane sottomarine, eruzioni vulcaniche in mare aperto o teremmoti con epicentro in mare aperto o lungo la costa.
Quelli generati da terremoti si verificano quando un evento sismico rilascia una grande quantità di energia (di solito magnitudo superiore a 7,5 e ipocentro superficiale), causando un improvviso innalzamento o abbassamento del fondale che mette in movimento grandi quantità d'acqua che generano onde che si propagano in mare aperto. Esse sono caratterizzate da una grande lunghezza d'onda e velocità intorno agli 800 Km/h. Quando l'altezza del fondo è 1/2 della lunghezza d'onda, inizia l'effetto frenante sulla massa d'acqua: la cresta si innalza fino a quando non si frange sulla costa su cui si abbatte con una forza devastante. I maremoti provocano danni maggiori nelle regioni dove le coste sono basse e non sono presenti rilievi in prossimità della costa.
I maremoti non si possono prevedere, ma ci si può difendere efficacemente, infatti per raggiungere coste distanti migliaia di Km impiegano diverse ore, sufficienti per attivare procedure di allarme e limitarne i danni. E di fondamentale importanza quindi conoscere la posizione dell'epicentro e la magnitudo di un terremoto, nonchè di sistemi di rilevamento nelle zone più a rischio.


       

 




venerdì 21 febbraio 2014

I FENOMENI VULCANICI

I fenomeni vulcanici sono uno dei segni più evidenti della dinamicità del nostro pianeta, sul quale sono presenti circa 600 vulcani attivi, che hanno trasformato nel tempo l'aspetto della  superficie terrestre.
L'attività vulcanica può manifestarsi in modi diversi: dalle tranquille effusioni di lava, ad esplosioni parossistiche tanto violente da modificare l'aspetto di una regione, o ancora unicamene con l'emissione di vapori e gas.
I fenomeni vulcanici sono molto complessi per la molteciplicità delle strutture e dei prodotti cui dà origine; di solito per vulcanesimo intendiamo l'emissione atraverso fratture di lave o materiali piroclastici, associati a gas e vapori.  Le lave, derivano da magmi che si originano o all'interno della crosta (per anatessi, sialici  e molto viscosi) o nell'astenosfera (femici, molto caldi e fluidi). L'attività vulcanica può innescarsi improvvisamente e persistere per lungo tempo per poi estinguersi quando vengono meno le condizioni che hanno portato alla formazione del magma.
Il processo di fusione avviene gradualmente: materiale molto caldo, si trasforma poco a poco in gocce di magma; quando un volune compreso tra il 5 e il 20% del materiale originario è fuso, le singole gocce di magma si muovono attraverso le fratture delle rocce e fondersi fra loro in una massa continua, che poco alla volta risale a causa della minore densità rispetto al materiale circostante. La velocità di risalita dipende dalla zona in cui si origina il magma, talvolta può rallentare e in tal caso, può cambiare la natura chimica del fuso, ad esempio per l'assimilazione di rocce circonstanti.
Se i magmi giungono i superficie, si innescano i fenomeni vulcanici, se questi sono troppo viscosi danno origine a corpi magmatici intrusivi chiamati plutoni i quali possono avere forme e dimensioni molto varie e solidificano molto lentamente all'interno della crosta.

Edifici vulcanici - eruzioni - prodotti dell'attività vulcanica

L'attività vulcanica si manifesta attraverso eruzioni lineari o eruzioni centrali. Si parla di eruzioni lineari quando il magma fuoriesce attraverso fessure della crosta, strette ed allungate che possono estendersi per chilometri; il ripetersi di queste eruzioni dalla stessa frattura porta alla formazione di espandimenti basaltici chiamati anche plateaux. Lo spessore di solito è modesto ma con estensione di migliaia di chilometri quadrati.
Si parla invece di eruzioni centrali, quando i materiali vengono eruttati da un edificio vulcanico, che è costituito da un'estremità chiamata cratere, un condotto (o camino vulcanico) che mette in comunicazione l'edificio con la zona di alimentazione che può trovarsi anche oltre i 100 Km di profondità. Durante la sua risalita, il magma può ristagnare in una camera magmatica situata a profondità variabili.
 La forma di un edificio vulcanico dipende strettamente dal tipo di lave eruttate e, le forme più comuni sono rappresentate dai vulcani a scudo, dagli stratovulcani e i coni di scorie.

Vulcani a scudo
Sono edifici vulcanici caratterizzati da dimensioni molto estese ( infatti il Mauna Loa si innalza per oltre 4000 m sul livello del mare, ma la sua base è sul fondo dell'oceano a oltre 5000 m di profondità), pendii dolci (che di solito hanno una pendenza non superiore al 5%). Questa forma è dovuta alla notevole fluidità delle lave basaltiche, che sono in grado di scorrere per molti chilometri prima di solidificare e gli episodi esplosivi sono praticamente assenti.


Come si nota dalla figura, l'edificio vulcanico si forma per l'accumulo di migliaia di sottili colate basaltiche e alla sommità si  può formare  una "caldera"  per collasso, all'interno della quale il condotto può aprirsi con un crattere a pozzo.

Stratovulcani
Sono edifici vulcanici che si formano quando alternano fasi di attività effusiva a fasi di attività esplosiva con emissioni di materiali piroclastici ( ceneri, lapilli, scorie, frammenti di lava) che si depositano sulle pendici del vulcano.
Molto spesso nei vulcani a strato sono presenti, oltre al cratere principale, anche crateri avventizi o secondari. Infatti quando il cratere centrale è ostruito, la lava cerca percorsi alternativi aprendo nuove bocche.  Un esempio di stratovulcani sono L'Etna, il Vesuvio, Mount St.Helens e il Fujyama.




Coni di scorie
Si tratta di piccoli edifici vulcanici che si sono formati in seguito ad una sola eruzione esplosiva; sono costituiti da materiali piroclastici ed hanno una pendenza accentuata.


Si possono inoltre riconoscere altre forme dovute alle caratteristiche delle varie fasi di attività; le più significative sono le caldere e i diatremi.
Le caldere sono vaste depressioni che si originano in seguito a fenomeni di attività esplosiva o dallo sprofondamento della parte sommitale dell'edificio vulcanico. Quando la camera magmatica si svuota, non è più in grado di sostenere la parte sommitale del vulcano, che sprofonda, generando una cavità. Un esempio di caldera è quella del monte Somma - Vesuvio e quella del Teide a Tenerife.
I diatremi sono dei condotti vulcanici riempiti da brecce magmatiche originatesi in seguito a una violenta esplosione di gas magmatici. I diatremi sono intrusioni simili a colonne costituite da rocce ultrabasiche provenienti dal mantello e quelli  più famosi dono quelli del Kimberley in Sudafrica, che vengono sfruttati per l'estrazione dei diamanti i quali  si formano ad alte temperature e alte pressioni.

I diversi tipi di eruzioni vulcaniche
I magmi provenienti dalle zone profonde, risalgono e si accumulano nella camera magmatica; a volte alcuni minerali iniziano a cristallizzare, mentre i gas si raccolgono nella parte superiore della camera magmatica. Quando la pressione all'interno della camera magmatica, supera la pressione litostatica, i componenti volatili si espandono trascinando il magma sulla superficie.
I fattori che influenzano il tipo di eruzione sono la viscosità del magma e  il contenuto in aeriformi, soprattutto vapor d'acqua; quest'ultimo influenza la mobilità del magma originando un'eruzione.
I magmi femici sono molto fluidi e danno origine ad un vulcanismo di tipo effusivo, mentre quelli sialici e andesitici, sono viscosi e danno origine ad attività vulcanica di tipo esplosivo.
I diversi tipi di eruzione prendono il nome dei vulcani di cui sono tipici; le principali sono:

- Eruzioni di tipo hawaiano: sono caraterizzate da effusioni di lave basaltiche molto fluide, i gas si liberano tranquillamente e sotto la loro spinta, nelle fasi iniziali dell'eruzione si formano spettacolari fontane di lava che possono elevarsi anche per centinaia di metri.

- Eruzioni di tipo stromboliano: sono caratterizzate prevalentemente da attività esplosiva alternate a colate laviche; la lava ristagna nel cratere, dove inizia a solidificare. Si origina così una crosta solida al di sotto della quale si accumulano i gas che sono liberati dal magma; quando la pressione cresce si origina un'esplosione non troppo violenta che libera il condotto, esaurita la spinta dei gas, la lava effonde sotto forma di fontane e colate. Il classico esempio di questa eruzione è Stromboli, uno stratovulcano  caratterizzato da attività persistente.

- Eruzioni di tipo vulcaniano: in questo tipo di eruzioni, il meccanismo è simile a quelle di tipo stromboliano, solo che la lava è più viscosa e va da termini andesitici a riolitici. Le lave solidificano nella parte alta del condotto vulcanico dove forma un "tappo" di grande spessore.  I gas impiegano quindi molto tempo per raggiungere pressioni sufficienti a vincere l'ostruzione. Quando ciò avviene, l'esposione è violentissima. Il classico esempio è rappresentato dall'isola di Vulcano, ma anche il Vesuvio, nel corso della sua storia ha attraversato fasi simili. Quando tali esplosioni  sono particolarmente violente sono definite di tipo pliniano in onore di Plinio il Giovane che descrisse l'eruzione del 79 d.C. Durante queste eruzioni  la colonna di gas e vapori fuoriesce violentemente dal condotto innalzandosi per diversi km , dando origine ad una nube a forma di "fungo". Da questa ricadono grandi quantità di frammenti di lava che solidifica come pomice.

- Eruzioni di tipo peleano: sono caratterizzate da lave molto viscose e con temperature relativamente basse (intorno ai 600 - 800 °C) che vengono spinte fuori dal condotto già solidificate dando origine a "cupole di ristagno" o guglie alte qualche centinaio di metri. L'eruzione è violentissima, accompagnata dal crollo dell'edificio vulcanico e dall'emissione  di grandi quantità di gas, vapori e materiali piroclastici che scendono a grande velocità sulle pendici del vulcano espandendosi su grandi aree; queste manifestazioni vengono chiamate nubi ardenti.

- Eruzioni freatiche: derivano dall'interazione tra il magma e l'acqua presente in una falda freatica. Il brusco passaggio dell'acqua allo stato di vapore dà origine a grandi pressioni che possono far saltare l'intera colonna di rocce sovrastanti; dal cratere fuoriesce con violenza una colonna di vapore mista a a brandelli di rocce. In seguito all'esplosione si origina una nube di vapore e materiali piroclastici, a forma di anello, chiamata base - surge. Un esempio è l'esplosione del Krakatoa, avvenuta nel 1883.

- Eruzioni di tipo islandese: sono caratterizzate da lave basaltiche molto fluide in cui la lava fuoriesce da lunghe fessure invece che da un edificio vulcanico; si osservano in Islanda e in corrispondenza delle dorsali oceaniche, che attraversano tutti i fondali oceanici. Sulla sperficie terrestre producono enormi quantità di lava e danno origine ai plateaux.


I prodotti dell'attività vulcanica e le modalità di solidificazione delle lave

I prodotti dell'attività vulcanica sono rappresentati da gas e materiali piroclastici.
Tra le sostanze aeriformi, i prodotti più abbondanti sono il vapor d'acqua e il biossido di carbonio, seguiti da composti dello zolfo, del cloro e del fluoro. Queste sostanze hanno contribuito a formare l'atmosfera primordiale e sono le responsabili delle eruzioni vulcaniche.
I materiali solidi sono invece rappresentati dai piroclasti, di composizione e dimensioni molto varie, eiettati dal vulcano durante le fasi di attività esplosiva. Essi possono essere rappresentati da polveri, ceneri, lapilli e bombe anche di grandi dimensioni e dalla forma affusolata.
Essi ricadono per effetto della forza di gravità e danno origine a depositi molto simili a quelli sedimentari; in alcuni casi danno origine a nubi ardenti formate da polveri, ceneri e lapilli che scendono lungo i fianchi del vulcano, dalla loro cementazione si formano rocce chiamate ignimbriti che possono coprire vaste aree.  Un altro esempio di prodotti dell'attività vulcanica sono i lahars, rappresentati da flussi di fango che si originano quando questi materiali si mescolano con i ghiacci o acqua di precipitazione o li laghi. Si innescano così grandi colate di fango dall'azione distruttiva in quanto seppelliscono ciò che incontrano lungo il loro percorso.
Le modalità di solidificazione di una lava  dipendono da molti fattori e principalmente dal tipo di lava, dala velocità di raffreddamento e dalle condizioni ambientali. Le principali strutture che possono assumere le lave sono:
- Lave a corda: (anche dette pahoe - hoe), sono tipiche dei vulcani di tipo hawaiano e danno origine a colate molto fluide; la parte superficiale della lava solidifica velocemente mantenendo una certa plasticità, la lava continua a scorrere sotto questa superficie deformandola dando origine a delle sturture simili a corde.


Sempre nei vulcani hawaiani si possono formare le lave a blocchi scoriacei che hanno un aspetto spugnoso e costituite da blocchi con una superficie irregolare. Si formano quando la lava ha perso i componenti volatili, lo strato superficiale è solido e non può  deformarsi; il materiale fuso continuando a scorrere sotto le lave solidificate, le spacca in blocchi. A volte le lave che raffreddano bruscamente formano strutture a fessurazione colonnare in cui la lava subisce una forte contrazione e solidifica in colonne a sezione prismatica.




- Pilow lavas: o lave a cuscino, si formano quando lave basaltiche effondono sui fondali oceanici; la superficie della lava a contatto con l'acqua si raffredda molto velocemente formando una pellicola vetrosa che isola dall'ambiente esterno la bolla  al cui interno, il fuso solidifica più lentamente dando origine a basalti, talvolta con strutture radiali.




Altri fenomeni legati all'attività vulcanica

Questi fenomeni legati all'attività vulcaniva, vengono anche definiti con il termine di vulcanesimo secondario e caratterizzano le fasi conclusive dell'attività vulcanica. Si tratta di fenomeni causati dalla presenza di un magma vicino alla superficie terrestre che raffreddandosi libera i gas e provoca il riscaldamento di acque presenti nelle falde acquifere, le quali vaporizzando, risalgono in superficie dando origine a sorgenti termali di cui l'Italia è ricca.
Fenomeni legati all'attività tardiva sono anche i geyser, abbondanti in America Settentrionale e in Islanda. Si tratta di emissioni intermittenti di acqua moldo calda a intervalli quasi regolari; a volte l'acqua contiene carbonato di calcio in soluzione che origina concrezioni attorno alla bocca del geyser.
Altre manifestazioni sono le fumarole caratterizzate da emissioni di vapor d'acqua e biossido di carbonio. Queste possono essere pericolose in quanto l'anidride carbonica, essendo più pesante dell'aria, si raccoglie nelle depressioni del terreno e può risultare letale per gli esseri viventi.
Le solfatare sono esalazioni di vapor d'acqua, biossido di carbonio e acido solfidrico che a contatto con l'aria si ossida facendo sublimare lo zolfo che si deposita sotto forma di incrsotazioni. A volte il vapore ricco di acido borico, fuoriesce ad alte pressioni ed alte temperature: questi getti vengono chiamati soffioni boraciferi. In Italia i più famosi sono quelli di Larderello in Toscana, che vengono sfruttati per la produzione di energia geotermica e di acido borico. Essi si formano quando l'acqua di precipitazione si infiltra nel suolo, viene a contatto con un magma e il vapore che si forma fuoriesce attraverso le fratture delle rocce. In terreni argillosi si ha la fuoriuscita di acque fangose e salate, che danno origine a piccoli coni chiamati salse.


Distribuzione geologica dei vulcani



La distribuzione dei circa 600 vulcani attivi sulla superficie terrestre e delle effusioni lungo le dorsali oceaniche, non è casuale, nè uniforme.
La parte più consistente dei vulcani attivi si trova lungo le dorsali oceaniche : queste sono catene montuose che attraversano tutti gli oceani elevandosi dal fondale fino a 3000 metri; dalla frattura vengono eruttate lave basaltiche molto fluide che danno origine a grandi accumuli di pillow. A volte, questo tipo di vulcanismo si manifesta sulla superficie terrestre, come nel caso dell'Islanda, dove la dorsale Medio - atlantica emerge.
Un gruppo caratteristico di vulcani, si manifesta lungo gli archi insulari o lungo margini continentali situati in prossimità di fosse oceaniche; in questo caso l'attività vulcanica è caratterizzata da lave andesiticheche danno origine ad eruzioni di tipo esplosivo. Questi vulcani si trovano lungo la cosiddetta "cintura di fuoco circumpacifica",  una fascia che si snoda lungo le coste americane e asiatiche del Pacifico; un esempio sono gli arcipelaghi del Giappone, delle Filippine e la Cordigliera dele Ande.
Alcuni vulcani sono associati ai punti caldi  (hot spot), che eruttano lave basaltiche. Tra quelli oceanici l'esempio più classico è rappresentato dalle Hawai, tra quelli continentli, i vulcani africani, l'Etna, le isole Canarie e la parte nord-occidentale del continente americano, in particolare Yellowstone.






venerdì 3 gennaio 2014

LA DOPPIA NATURA DELLA LUCE


La luce proveniente dal Sole e dalle Stelle ci può fornire diverse informazioni che vanno dagli elementi presenti in una stella, alla sua evoluzione, o, ancora sulla sua temperatura. Quasi tutto ciò che sappiamo sulla struttura atomica, deriva dall’analisi della luce emessa o assorbita dalle sostanze.
Gli scienziati hanno impiegato alcuni secoli prima di spiegare i fenomeni luminosi che possiamo osservare, ma è soltanto dallo scorso secolo che Max Planck e Albert Einstein hanno elaborato teorie che ci permettono di affermare che la luce presenta sia un aspetto ondulatorio, sia uno corpuscolare.
Maxwell nella seconda metà dell’800 afferma che la luce è un particolare tipo di onda elettromagnetica creata da una rapidissima oscillazione di cariche elettriche; infatti è noto dalla fisica che, una corrente elettrica oscillante origina un’onda magnetica.
La luce è un particolare tipo di onda elettromagnetica; l’insieme delle onde costituisce lo spettro elettromagnetico.
Le onde si distinguono per la frequenza  (ni) e la lunghezza d’onda (lambda); ciò che le accomuna è invece la velocità c con cui si propagano nel vuoto cioè 300000 Km al s.
La frequenza  viene misurata  in hertz, le  frequenze  dello  spettro elettromagnetico  vanno da 105 a
1030 Hz.
La luce visibile è una porzione molto piccola dello spettro elettromagnetico: tutte le radiazioni hanno una lunghezza d’onda che va dai 400 ai 700 nm (nanometri) che noi percepiamo come luce bianca.
La relazione che lega le tre grandezze caratteristiche delle onde elettromagnetiche è:

C = λ · ν

λ (lambda)  e ν (ni)sono grandezze inversamente proporzionali: a grandi frequenze corrispondono piccole lunghezze d’onda e viceversa.


La natura ondulatoria della luce è legata al fenomeno della diffrazione: questo si verifica quando un fascio di luce giunge su una fenditura avente dimensioni confrontabili con con la lunghezza d'onda.
Dopo avere oltrepassato l'ostacolo, la luce non si propaga più in linea retta e origina delle bande chiare e scure alternate, chiamate frange di interferenza.

Le frange chiare sono dovute a interferenza positiva causata da più onde in fase che si rafforzano aumentando la luminosità, quelle scure sono dovute a interferenza negativa e sono prodotte da onde in discordanza di fase: le ampiezze si annullano e scompare la luminosità.




Quando la luce interagisce con la materia, si evidenzia la sua natura corpuscolare: infatti proiettando un fascio di luce ultravioletta prodotta da una lampada a vapori di mercurio, su una lamina di zinco, possiamo provocare l'espulsione di elettroni dalla lamina metallica.
Questo fenomeno prende il nome di effetto fotoelettrico, ed è stato scoperto da Lenard nel 1902, egli misurò sia gli elettroni emessi in un secondo, sia la velocità con cui venivano scalzati dal metallo. Se si usava una radiazione più intensa aumentava il numero di elettroni emessi, ma non la velocità; per aumentare quest'ultima si doveva utilizzare una radiazione con frequenza maggiore, mentre al di sotto di una frequenza minima l'efetto fotoeletrico non si manifesta.



Questo fenomeno non può essere spiegato considerando la luce in termini ondulatori, si può spiegare immaginando ogni raggio di luce come un insieme di "pacchetti"  di energia, tanto più numerosi, quanto più intenso è il raggio.
Gli elettroni per essere liberati dal metallo, devono acquisire l'energia necessaria a vincere le forze che li temgono uniti al metallo; se i "pacchetti" giungono sul metallo, ma sono troppo deboli, non vi è emissione di elettroni.
Questi "pacchetti" di energia vengono chiamati quanti o fotoni; la relazione che esprime questo comportamento è conosciuta come  relazione si Planck - Einstein:

E = h ν

Dove E è l’energia del fotone, ν la frequenza e h la costante di Planck con valore uguale a 6,63 10-34
J s. All’aumentare della frequenza, aumenta l’energia trasportata dalla radiazione elettromagnetica.
Possiamo anche scrivere:

E = h c/λ

Entrambe le formule evidenziano la doppia natura della luce: nella sua propagazione manifesta l’aspetto ondulatorio, nell’interazione con la materia, evidenzia l’aspetto corpuscolare, cioè si comporta come un insieme di fotoni a ciascuno dei quali corrisponde una determinata energia; i fotoni sono privi di massa, e sono quindi considerati “pacchetti di energia”.